Il paradosso in grafologia

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Il paradosso in grafologia

Il paradosso in grafologia e non: I paradossi esistono, permeano la vita e tutte le sue espressioni. Sono parte integrante dell’esperienza quotidiana; a volte ci si accorge della loro presenza con meraviglia e stupore, a volte con disappunto, molte altre volte ancora, invece, non li si notano proprio. La presenza del paradosso può essere percepita assai diversamente: realtà scomoda e inutilmente problematica oppure, al contrario, finestra enigmatica che si apre su una dimensione tutta da esplorare. Impiccio o occasione, inutile complicatezza o verità ulteriore. Sta di fatto che i paradossi o, per meglio dire, la consapevolezza della dimensione paradossale della realtà, non è cosa recente, ma più o meno coscientemente se ne fa esperienza da sempre, come da parecchio se ne scrive.

Anche se probabilmente non è stato il primo a farlo, Epimenide di Creta (VI secolo a.C.) è il più remoto pensatore del quale ci sia giunta testimonianza scritta in merito all’argomento. Con la sua affermazione tutti i cretesi sono bugiardi ha sollevato un bel ginepraio logico, essendo lui stesso un cretese. A dargli man forte nel tenere alta la guardia sulla paradossalità della realtà e quindi dell’esperienza umana non sono poi mancati degni compari, quali Zenone di Elea (489 – 431 a.C.) del quale ci giungono notizie grazie a Platone ed Aristotele. Con le sue dimostrazioni per assurdo, supportate dal metodo dialettico, Zenone afferma l’unicità ed immutabilità della realtà, dimostrando tramite esercizi di logica l’impossibilità della molteplicità e del movimento.

Contemporaneamente  Protagora (486 – 411 a.C.), considerato il padre della sofistica, non mancò di far sentire la sua voce, con una serie di riflessioni tra le quali forse la più famosa è quella che porta il suo nome, detta anche paradosso dell’avvocato. Questi filosofi non hanno di certo inventato i paradossi, i quali sono sempre esistiti; hanno piuttosto avuto il merito di evidenziare come la realtà, nei suoi molteplici aspetti, ne fosse non solo portatrice, ma profondamente connotata.

Il termine παράδοξο (parádoxo) è composto da παρὰ (parà: contro) e δόξα (dòxa: opinione) indicando quindi un qualcosa che è contro l’opinione comune, contro le normali aspettative, diverso da ciò che è atteso, sorprendente quand’anche destabilizzante ed imbarazzante. Costituiscono, i paradossi, l’occasione per riflettere in maniera nuova su qualcosa ritenuto fino a quel momento ovvio e consolidato oppure per prendere atto di qualcosa di sconosciuto che non è interpretabile con nessuno dei criteri finora elaborati. Si tratta quindi di  una grande opportunità di ripensare e riflettere mettendo in discussione processi di pensiero ritenuti efficaci a vantaggio di approcci mentali e fisici capaci di nuove sintesi. Rimane sempre attuale la formidabile definizione che ne dà Mark Sainsbury, di una conclusione apparentemente inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente accettabili per mezzo di un ragionamento apparentemente accettabile. Di paradossi se ne trovano in molti rami della riflessione umana, dell’esperienza, della conoscenza scientifica. Credo che tutto ciò che esista sia carico di contraddizioni; la riflessione le può ricomporre o scorgerne le sinergie, quand’anche coglierne i significati. A mio modo di vedere la risoluzione di un paradosso non implica l’eliminazione della dimensione paradossale di quella particolare realtà, ma preparare il terreno, in merito a quella stessa realtà,  per la scoperta di  una dimensione paradossale ulteriore, che ne precede ancora una, e poi ancora e ancora…

Il paradosso in grafologia

In questo campo non ci facciamo mancare nulla, ma proprio nulla. E di paradossi, ovviamente, ne abbiamo una gran varietà. Non si tratta tanto di semplici incongruenze o contraddizioni, quanto piuttosto di aspetti della disciplina che originano da premesse plausibili, ragionamenti conseguenti e congruenti, sviluppi o conclusioni sconcertanti. Non è mia intenzione fare una carrellata esaustiva di tutti i paradossi della grafologia, non è questa la sede. Questa occasione mi è propizia per tirare il sasso, e qualche esempio, a titolo di chiarimento,  mi può essere di aiuto.

Partiamo dai fondamentali:

Nel Trattato di grafologia  (Moretti, 1985) vi sono ripetute e perentorie affermazioni sulle possibilità di utilizzo della disciplina stessa: Che cosa si conosce con la grafologia? Si conosce solo la personalità innata.  Perciò non si conosce l’atto psichico d’una persona, non si conosce l’interno regolato dalla libertà personale umana, ciò che Dio solo vale a penetrare. Non si conosce neanche lo stato della personalità acquisita individualizzata … ma si consoce solo la personalità innata (p. 13), La grafologia scruta solo la natura innata (p. 15), La grafologia non scruta che la personalità innata e lascia scrutare alla storia la personalità acquisita (p. 18) sino ad arrivare alla affermazione categorica di tali convincimenti includendoli in una delle sue otto leggi fondamentali.  In particolare, la 8^ afferma: La grafologia scopre solo le tendenze naturali (p. 36) Non si tratta quindi di una affermazione peregrina, neanche acerba e recente: nel volume Virtù e difetti rilevati dalla grafologia (Moretti, 1935, p. 36) si trova il capitolo 3° dall’eloquente titolo: Perché la grafologica scruta solo la natura innata? E ancor prima,  nel suo Trattato scientifico di grafologia (Koch, 1920, p.1) afferma che la stessa sia definibile come scienza sperimentale che dalla semplice figura grafica d’uno scritto rileva le tendenze dello scrittore sortite da natura. Si tratta di una certezza, di una convinzione evidentemente solida ed immutabile nel tempo, presente sin dai primi studi e pubblicazioni. Tutto vero, tante volte dimostrato dallo stesso Moretti nelle sue analisi, tante volte confermato da chi si occupa di grafologia. E’ vero, ma non è tutta la verità; più precisamente si tratta di una mezza verità. Chiunque ne capisce qualcosa, infatti, sa perfettamente che  la grafologia è in grado di argomentare circa le tendenze naturali come parimenti di quelle acquisite. Nulla di strano fin qui. Si potrebbe parlare di un errore successivamente individuato e superato dai discepoli del maestro. L’incongruenza sta nel fatto che lo stesso Moretti sembri non tener conto della sua 8^ legge, stilando analisi che ben considerano sia gli aspetti innati che acquisiti della personalità. Ancor prima che i comuni grafologi, sembrerebbe che lo stesso Moretti si sia trovato contemporaneamente con un piede in due scarpe: dapprima afferma che con la sua grafologia si possono fare solo alcune cose e non altre; quando poi la va ad applicare, si accorge che il suo strumento è più potente di quanto previsto ed affermato precedentemente, senza per questo avvertire l’esigenza di correggere l’assunto iniziale. In Moretti sembrano coesistere contemporaneamente due verità opposte che io definirei due diverse forme di consapevolezza le quali, situandosi su due piani diversi, non trovano sintesi fra loro. Secondo me l’ottava legge è formulata con una prima forma di conoscenza, definibile come cognitiva, razionale, frutto di una convinzione ragionativa. La sua applicazione, invece, sembra far riferimento ad una forma di conoscenza meno elaborata e più pratica, che si basa sulle evidenze grafiche, la quale quindi non si può esimere dal constatare ciò che la potenza dello strumento grafologico consente di leggere; strumento grafologico che, non dimentichiamolo, in Moretti era un tutt’uno con se stesso.  Mi sembra quindi palpabile quello definirei il paradosso grafologico per eccellenza vissuto dallo stesso Moretti: la convinzione razionale, espressa con linguaggio logico-verbale, che certe cose non sia possibile farle, per poi ritrovarsi a non potersi trattenere dall’implementarle, facendole con una tale naturalezza e spontaneità, quindi immediatezza, che la percezione è che sia normale che sia così e non diversamente, come invece le premesse teorico-cognitivo escludevano. Ritengo che le due diverse forme di consapevolezza di cui ho parlato, siano riferibili la prima ad una intelligenza cosciente e consapevole, quindi logica o quantomeno razionale. La seconda, invece, ad una forma di intelligenza inconscia, intuitiva, che permeava tutta l’identità del Moretti, senza assumere i caratteri della chiarezza cognitiva. Ritengo si trattasse di un modo di essere ancor prima che di pensare; la chiarezza di pensiero veniva semmai costruita successivamente alle sue percezioni ed intuizioni. Quella che oggi potremmo frettolosamente liquidare come semplice incongruenza o grossolano errore, per la verità è l’espressione della drammaticità di conflittualità tra forme di conoscenza diverse, entrambe percepite come vere, non raccordate fra loro, e quindi dalle conclusioni paradossali.

Ma di forme di conoscenza diverse ne troviamo ancora nella grafologia morettiana. Antitetiche e complementari, anche se non chiaramente né tantomeno oggettivamente e chiaramente raccordabili. Si tratta del metodo descrittivo, analitico e misurabile dato dai segni, dal loro valore in decimi, dalla loro natura sostanziale, modificante o accidentale. E’, questo, un metodo preciso, esplicito, chiaro e condivisibile, adatto cioè  ad essere argomentato logicamente, come anche ben espresso e comunicato. Accanto, Moretti si interroga se vi possano essere anche altre forme di conoscenza diverse ma attendibili. La sua appare una riflessione che si è articolata nel tempo, tentando inizialmente di escludere qualsiasi forma di soggettivismo nell’esercizio dell’analisi grafologica, probabilmente dominato dalla preoccupazione di riuscire nell’intento di accreditamento ed affermazione a pieno titolo della sua grafologia in ambito scientifico. Nei primissimi lavori (1920, p. 2) in merito alla chiarezza della grafologia, cita Binet: la grafologia è un affare d’intuizione che entra nell’inesprimibile. Ma subito aggiunge che ritiene preferibile la veritiera l’espressione di Crepieux Jamain: non vi è nella scrittura niente di inesprimibile, perchè non vi sono che delle forme, e le forme sono analizzabili. Più recentemente, Moretti (1985) sembra più sereno e meno preoccupato, quando suggerisce di non trascurare una seconda fonte di conoscenza, anch’essa utile e necessaria: l’intuizione. La grafologia non è soltanto affare di intuito (…) Tuttavia l’intuito non si può escludere completamente, per quanto io penso; come non si può escludere dalla medicina, dalla psicologia, dalla psichiatria (pp. 15/16). E ancora: Dobbiamo però confessare che, per essere grafologi veri, bisogna avere tendenza e cultura specialmente di psicologia, ed essere per natura portati ad essa, ed avere un senso spiccato di osservazione di tutti i più minuti fenomeni. Perché la grafologia non consiste nell’applicare una o più regole grafologiche, (ciò appartiene alla materialità della grafologia) ma nel mettere insieme molti criteri grafologici (p. 17). In Sostanza per fare una buona analisi clinica, la grafia va analizzata, sintetizzata, ma anche percepita intuitivamente. Rieccoci di nuovo in una situazione paradossale, nella quale i singoli ingredienti, procedimento oggettivo e intuizione soggettiva, sono incompatibili tra loro, ma che possono dar luogo, sorprendentemente, ad una buona pietanza. A mio parere ciò che Moretti trascura completamente di trattare e che invece è imprescindibile è il tema delle condizioni per una intuizione affidabile. Ma, anche se lo avesse adeguatamente sviluppato, ciò non ci affrancherebbe neanche un pò dalla situazione paradossale di grafologi che svolgono il loro mestiere tenendo i piedi su due staffe: metodo e intuizione. Ci potremmo consolare al pensiero che comunque  godiamo di buona compagnia: chiunque si occupa di relazione di aiuto o diagnosi (psicologi, psichiatri, ecc.) fa esperienza della stessa situazione paradossale. A mio avviso, tuttavia, ciò non costituisce motivo di limite né tantomeno di fragilità. Piuttosto è la sfida a costruire visioni sempre più sintetiche, che aprono finestre su nuove realtà. Curiosamente paradossali, ovviamente.

BIBLIOGRAFIA

Koch U., Trattato scientifico di grafologia, 1920, Zanichelli, Bologna

Moretti G. M., Virtù e difetti rilevati dalla grafologia, 1935, La Prora, Milano

Moretti G., Trattato di Grafologia, 1985, Messaggero, Padova

 Moretti G., Scompensi anomalie della psiche e grafologia, 2000, Messaggero, Padova

 Sainsbury, R. M., Paradoxes, Cambridge, Cambridge University Press, 1988

 

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